Spendo tanto tempo a cercare delle idee e proporle ai clienti di Gummy Industries.
A volte vengono semplicemente rifiutate, altre volte ignorate. Le idee che sopravvivono sono, forse, l’1%. È la selezione naturale, baby!
In questi anni i clienti hanno rifiutato un sacco di idee che a me sembravano sensate, tra cui un gioco multiplayer in cui devi friggere più calamari di tutti gli altri giocatori, un contest di freestyle rap per promuovere un dizionario, un gioco che regala dei formaggi in modo più o meno random. Secondo me erano idee abbastanza buone, alcune erano venute a me, ci tenevo e le ho supportate ma non sono sopravvissute.
Alla fine ho capito che buone idee sono una cosa pessima, se ti vengono al momento sbagliato. In un processo creativo avere una buona idea blocca il processo (troppo presto, a volte). A volte, una buona idea che arriva troppo presto può essere il sintomo che un’autorità nel gruppo riesce a imporre la sua idea, o del fatto che si sta accettando un pensiero comune o un pensiero pregresso. Per questo motivo le buone idee vanno tenute da parte e accantonate per un po’, e andrebbero presentate all’esterno solo quando tutti sono d’accordo. Presentare un’idea all’esterno, se l’idea non è ancora pronta del tutto, può avere un effetto contrario: può contribuire a far scartare un’idea buona.
Le cattive idee sono una cosa buona. Prima di tutto perchè suscitano delle reazioni forti, anche avverse, e contribuiscono a creare una discussione. Si crea quel momento in cui tutti abbassano le difese e si sentono in grado di generare nuove idee: tanto, per quanto cattive siano, non saranno mai pessime come la prima idea.
Le idee non si possono proteggere (non c’è copyright sulle idee, ma solo sulla loro implementazione), anche se un sacco di gente cerca di nasconderle, di metterle al sicuro, di blindarle [spoiler: quelli che mi chiedono di firmare un NDA, di solito, hanno una pessima idea da proteggere]. È una cazzata: una buona idea, da sola, non serve a nulla. Le idee hanno bisogno di essere implementate.
Sono molto d’accordo con Ji Lee, Creative Director di Facebook, che dice: “Idea is nothing. Doing is everything“.
Cerco di averne il più possibile (in media, ne ho pochissime). Ma quando le ho, le regalo: penso che scambiarle sia una cosa buona. E non perchè “se io ti dò un’idea, entrambi abbiamo un’idea”, ma perchè spero che il mio interlocutore faccia a pezzi le mie idee: è l’unico modo per testarle. Oltre alla ghigliottina definitiva: presentarle al cliente.
[Breve intermezzo filmato: Ji Lee dice delle cose interessanti. Ci mette quaranta minuti a dirle, ma sono 40′ spesi bene]
2011/03 Ji Lee from CreativeMornings on Vimeo.
Definire le idee è proprio un casino: sono un multiforme accrocchio di cose diverse. Per esempio, una delle grandi idee degli ultimi vent’anni è lo Swiffer. Merita due righe.
Prima di tutto: perchè lo Swiffer è una grande idea? Come lo misuro? P&G dichiara di incassare 500 milioni di dollari l’anno dalla vendita di questo aggeggio che, fino a pochi anni fa, non esisteva.
[didascalia: l’immagine non c’entra nulla con il testo]
[warning: se avete già sentito parlare dello Swiffer potete saltare il resto del post, contiene le solite storie trite e ritrite che avrete letto in tutti i blog post esistenti sulla creatività]
Molti sanno come è nato lo Swiffer: P&G stava cercando da anni un modo per migliorare i suoi prodotti per la pulizia del pavimento (quindi stava cercando un’idea per un nuovo detersivo). Dopo aver guardato centinaia di ore di video in cui arzille casalinghe e casalinghi lavavano il pavimento, l’azienda non era arrivata a nessuna soluzione sensata. In effetti è difficile pensare a un detersivo che faccia qualcosa di diverso da quello che fanno tutti i detersivi: le bolle nel secchio.
Il salto concettuale (e l’idea) arrivarono durante un’intervista, quando una simpatica signora fece cadere del caffè in polvere sul pavimento e, per raccoglierlo, bagnò un fazzoletto e tamponò il pavimento. P&G capì che uno straccio che attira la polvere poteva rivoluzionare il settore: il settore delle scope, non quello dei detersivi.
Perchè mi interessa questa storia?
- le idee spesso ti vengono quando cerchi altro
- senza il lavoro preparatorio, di anni, svolto dalla ricerca e sviluppo di P&G difficilmente l’idea dello Swiffer sarebbe stata isolata e sviluppata
Di che idea si tratta? Lo Swiffer è la soluzione a un problema: individua un problema esistente (raccogliere la polvere senza trasformarla in una melma fangosa nel secchio) e lo risolve.
Ecco altre idee che sono problem solutions:
- la ruota
- la cerniera zip
Altre idee sono evolutive: costituiscono l’evoluzione di un problema esistente (che ne so, Feedly è una chiara evoluzione di Google Reader).
- il telefono è un’evoluzione della radio
- il cellulare è un’evoluzione del telefono
- l’iPhone è un’evoluzione del cellulare
- The free universal construction kit è un’evoluzione dei lego
Le ultime sono le idee simbiotiche: nascono dalla fusione di due idee già esistenti, in ambiti molto distinti. Per esempio, quando Richard Drew, ingegnere della 3M, inventò lo Scotch, stava mischiando il prodotto “carta per fare le mascherature quando dipingi un’automobile” con il prodotto “colla”.
- lo scotch mette insieme competenze sulla carta e sugli adesivi deboli
- il post it, idem
O anche: l’applicazione Whitings mette insieme i dati prodotti da Runkeeper, dalle applicazioni per il controllo del sonno e dalla bilancia che si collega all’iPhone. In questo modo, permette all’utente di collegare attività fisica e perdita di peso: fa qualcosa di nuovo, grazie alla simbiosi di app esistenti.
A cosa mi serve classificare le idee? Quasi a nulla. Mi rassicura quando ne cerco di nuove e mi dà infiniti argomenti di conversazione con quelli che mi parlano di creatività aziendale. Una cosa che, per inciso, non esiste.
[nel sequel: come aumentare il numero di idee che riesci a produrre nell’unità di tempo e fatturare il 200% in più. stay tuned.]
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