Digital trend nel fashion retail: dall’interazione all’acquisto
Negli ultimi tempi, è diventato evidente a chiunque utilizzi i social network che i brand di moda siano sempre più presenti e in maniera molto attiva su questi canali. Ma con quali scopi le grandi e piccole marche del fashion retail gestiscono i loro account social? Quali sono i trend in atto?
Abbiamo voluto fare una veloce ricerca per aggiornarci e per trovare qualche esempio recente che ci dia indicazione su come muoverci online con i nostri clienti. In particolare, ci siamo chiesti quali possano essere le strategie che si possono realizzare per convertire l’engagement dell’utente in intenzione di acquisto. Ecco quello che abbiamo scoperto.
Questo social network sta definitivamente cambiando la metodologia di acquisto online dei consumatori. L’elemento fondamentale per capire l’importanza di Pinterest nel retail, e nel fashion retail soprattutto, è la differenza tra search e discovery. Quando cerchiamo qualcosa, infatti, abbiamo più o meno già in mente che cosa ci serve e ci limitiamo a utilizzare il web per trovare quel prodotto al miglior prezzo o nella variabile che più ci piace. Quando invece stiamo scoprendo qualcosa, non si tratta quasi mai di un prodotto di cui eravamo alla ricerca in maniera specifica, ma piuttosto di un oggetto che ci colpisce per la sua bellezza e unicità in mezzo ad altri oggetti interessanti. Ecco, Pinterest ha categorizzato questo processo di scoperta dei prodotti, soprattutto dei prodotti “belli”, in grado di colpire visivamente l’osservatore.
Non stupisce, quindi, che Pinterest si configuri come il social network della moda per eccellenza, per lo meno quando lo si analizza da un punto di vista delle vendite. Nel 2013, infatti, Pinterest ha superato tutte le altre piattaforme nella media degli acquisti da social referral (fonte Monetate).
A differenza di Instagram, Pinterest riesce a convertire in valore economico i pin degli utenti: nello specifico, secondo quanto esposto recentemente dal Washington Post, 1 pin equivale a 0,78 $.
Di conseguenza, questo social network si sta configurando oggi come uno strumento sempre più imprescindibile per i retail di moda che vogliano ottenere awareness e convertire l’engagement in vendite. Al punto che le aziende stanno cominciando a strutturare i propri e-commerce e gli stessi negozi sulla base dei pin ottenuti.
Un esempio su tutti è Nordstrom, che organizza parte dello shop online con i top pinned in evidenza, curando settimanalmente la sezione chiamata Pinspiration. Gli stessi prodotti in vendita a scaffale nei negozi contengono le segnalazioni dei pin ricevuti.
Per assecondare il più possibile il collegamento tra le board degli utenti e i carrelli degli e-commerce, Pinterest mette a disposizione delle aziende alcuni strumenti specifici. A cominciare dall’ormai più che conosciuto Pin it Button e dagli analytics, cui si aggiungono i rich pin di prodotto, che includono il prezzo aggiornato, la disponibilità e il punto vendita in cui trovare l’oggetto che si sta pinnando.
Inoltre, il social network ha messo in sperimentazione i promoted pin ed esiste già una partnership con Zappos e Walmart per sfruttare il now-trending-tool che permette di utilizzare i dati di Pinterest in real time. Per il futuro, il social network promette di espandere le proprie API per fornire una maggiore quantità di dati per una loro successiva elaborazione in ottica di business.
Un esempio recente e significativo di integrazione del sistema di valutazione tramite pin degli utenti con l’e-commerce di un fashion retailer è Awesome shop di Target.
Dopo aver registrato un aumento del 70% del traffico al proprio sito nelle sei settimane successive all’introduzione dei rich pin (fonte Cnbc), l’azienda ha lanciato un mini-sito dedicato alle “cool stuff everyone is talking about”. Ovvero un database con i prodotti del brand che hanno ricevuto il più alto numero di pin degli utenti e il numero massimo di stelle nelle review di Target: una sorta di lista degli oggetti più belli, curata direttamente dal pubblico. Il sito è navigabile per categoria e la selezione di un prodotto rimanda all’e-commerce di Target per l’acquisto. In pratica, gli utenti scelgono cosa comprare tra i prodotti di Target che altri utenti hanno selezionato per loro – è la forma più alta del cosiddetto “trusted word-of-mouth” ed è una garanzia di successo.
Un altro esempio interessante di integrazione di Pinterest online e in store è quello della campagna “Dear Topshop” che l’azienda ha realizzato per la stagione di shopping natalizio.
Pinterest è protagonista a cominciare dalla home page del sito di Topshop, in cui i prodotti sono ordinati secondo il numero di pin ricevuti. Dopo aver navigato il sito utilizzando le tre categorie disponibili (A gift that will wow, All things that sparkle, A bit of romance), gli utenti possono pinnare i prodotti e condividerli nei propri canali social con l’hashtag #deartopshop.
In una campagna che lega fortemente l’online ai punti vendita, i prodotti più pinnati sono segnalati anche in store, mentre nei due flagship di Londra e New York alcuni touch screen giganti permettono ai clienti di aggiornare continuamente le board e continuare a pinnare, condividere e comprare i prodotti Topshop in diretta. È stato detto che “it was all about Pinterest for Tophop this season” e la definizione sembra sicuramente adatta!
Parlando di social network e di brand di moda, quella tra Pinterest e Instagram è sicuramente una bella gara. I dati di Socialfresh sull’ultima Fashion Week a New York parlano di oltre 2,5 milioni di interazioni sull’hashtag #NYFW (tra foto scattate, like e commenti) in soli 8 giorni: non è difficile capire come Instagram sia diventato il social per il fashion retail!
Quasi non esiste più brand che non sia presente su questa piattaforma con la sua dose giornaliera di contenuti di backstage, di nuove collezioni e di dirette dalla passerella – e se ci fosse ancora un brand assente all’appello, il consiglio sarebbe di correre ad aprire subito un account, perché “if a company has a visual product to sell and it’s currently not on Instagram, that company is missing out on significant brand awareness and revenue” (l’ha detto Dan Atkinson, CEO di SumAll).
Instagram per il fashion retail significa soprattutto engagement a livelli fino a 15 volte superiori a quelli di Facebook, ma l’impossibilità di usare link e di sfruttare il click through rende difficile misurare l’effettivo ritorno economico di queste interazioni, per quanto sia evidente il livello molto alto che possono raggiungere.
L’unico tool offerto da Instagram che possiamo prendere in considerazione ai fini di questa ricerca è Instagram Direct, il servizio di messaggistica privata che permette di inviare immagini e video in chat con un gruppo ristretto di interlocutori (massimo 15 persone per conversazione).
Quali sono le potenzialità offerte da questo strumento? Un primo utilizzo di Instagram Direct è quello che è stato proposto da GAP a solo due ore dal lancio del servizio, ovvero l’organizzazione di photo contest ristretti a pochi partecipanti. Il brand ha fatto una call to action aperta a tutti i follower in una foto pubblicata nel proprio profilo Instagram, ma solo i primi 15 che l’avessero commentata avrebbero potuto partecipare al #WIWT contest. In palio una custodia per tablet, ma, soprattutto, la creazione di un sistema di rewarding dei propri fan che non ha pari.
Allo stesso modo e con la stessa velocità, anche Michael Kors ha dimostrato di saper cogliere le potenzialità offerte dallo strumento per stabilire una forma di premiazione dei propri “super users”: i primi 50 a pubblicare una foto con hashtag #MKDirect avrebbero ricevuto un messaggio personale ed esclusivo il giorno successivo.
Lo strumento si offre bene anche ad altri utilizzi, dal customer service all’invio di coupon. In quest’ultimo caso, è evidente come Instagram possa a tutti gli effetti trasformare direttamente l’engagement in intenzione di acquisto.
A giudicare dalle tendenze online, credo che il consumatore che visiterà un negozio o lo shop online di un brand che ha utilizzato Instagram Direct per inviargli un coupon sconto a seguito di un contest o di una call to action sarà anche e prima di tutto un fan soddisfatto, che si sente premiato per la sua fedeltà e che si sarà conquistato quello sconto grazie alla propria volontà di partecipare alla vita del brand.
Instagram, in questo modo, sta riuscendo ad alzare l’asticella dell’engagement ancora più in alto rispetto a tutti gli altri social network e mantiene il proprio primato come strumento in grado di creare fidelizzazione e awareness più di qualsiasi altro.
Se c’è un social network che permette di monetizzare in tempi brevissimi e su scala globale questo è Twitter. Lo ha dimostrato recentemente American Apparel, che ha presentato un case study dall’eloquente titolo “How American Apparel makes $50,000 in one hour on Twitter”.
L’intervista a Ryan Holiday, direttore marketing del brand, esamina molto bene le potenzialità offerte da Twitter, lo strumento più veloce e immediato per comunicare con i fan e per premiarli. Come? Ad esempio, con flash sales che durano un lasso di tempo molto ristretto – anche solo un’ora – durante il quale vengono twittati un link all’e-commerce e un codice sconto da inserire.
Non sarà l’idea più originale del secolo, ma è un’idea che funziona. Si basa, come Instagram Direct, su un concetto di fondo di esclusività: solo chi è online in quel preciso momento ha diritto alla promozione e per questo si sentirà “speciale”. Allo stesso modo, il tempo limitato fa leva pesantemente sulla psiche dei consumatori portandoli al più classico degli acquisti d’impulso.
Twitter permette anche di creare dinamiche particolari di RT che aumentano esponenzialmente il reach di una campagna, per quanto limitata nel tempo possa essere. Inoltre, l’utilizzo intelligente degli hashtag tematici consente di collegare bene online e offline (ad esempio, American Apparel l’ha fatto ad Halloween, incorporando l’hashtag #AAHalloween su tutti i contenuti del brand, dalle vetrine dei negozi ai print avd, creando un effetto di rimbalzo delle conversazioni).
Snapchat
Se il principio che rende i flash sales su Twitter un successo garantito è la limitata durata dell’offerta nel tempo, Snapchat è in grado di spingere questo concetto al limite massimo, riducendo la finestra di offerta a soli 10 secondi.
Questa app di messaggistica istantanea è stata scoperta anche dal mondo della moda, che la utilizza principalmente per inviare ai fan contenuti esclusivi di dietro le quinte, dagli sneak peek delle nuove collezioni alla diretta dalle passerelle. Ma un utilizzo alternativo e ad alto potenziale di Snapchat per il fashion retail è sicuramente l’invio di coupon ed è quello che sta facendo il brand americano Karmaloop.
In sostanza, si tratta di una gamification estrema del concetto di couponing che si adatta perfettamente al target di questo social network, ovvero ragazzi di giovane età che interpretano come una sfida l’offerta che dura solo 10 secondi di un coupon a cui fare uno screenshot al volo. Grazie a questa strategia, Karmaloop sta ottenendo un incredibile successo ed è riuscito a raddoppiare i propri follower.
Chissà che non possa essere una buona strada da seguire per tutti i marchi di streetwear che si rivolgono a un pubblico più giovane.
Jelly
Rimanendo in tema di social network di nuovissima generazione, vale la pena di dare un’occhiata anche a Jelly, l’app lanciata a gennaio 2014 per chiedere cose e ottenere le relative risposte attraverso Twitter e Facebook, grazie all’aiuto dei propri amici e di chi utilizza la stessa applicazione. La possibilità di fare domande e dare risposte in merito una fotografia rappresenta un terreno ancora inesplorato ma ad alto potenziale per i brand di moda.
Cosa succederebbe se un marchio fashion iniziasse un dialogo con i propri fan, chiedendo, ad esempio, con cosa si abbinerebbe meglio la tale maglia? E se il brand addirittura riuscisse a inserirsi nelle conversazioni già esistenti tra gli utenti per rispondere alle loro domande?
Il ritorno in termini di awareness e di reputation sarebbe altissimo. Allo stesso modo, Jelly potrebbe diventare un ottimo canale per fare innovazione di prodotto, sfruttando la community come una sorta di focus group ampliato all’ennesima potenza.
Per il momento sono ancora pochi i brand di moda che hanno abbracciato questo nuovo social network, ma le potenzialità ci sono tutte e siamo ansiosi di scoprire quali sorprese ci riserverà Jelly.
In conclusione
Quando si parla di digital trend per il fashion retail, engagement è la parola da mettere ancora e sempre al primo posto. Gli utenti vogliono sempre più partecipare in prima persona alla creazione dei contenuti di cui usufruiscono e le aziende devono tenere conto di questa necessità nel costruire un dialogo con i propri fan.
Siamo tutti curatori nei confronti degli oggetti che ci circondano e vogliamo, anzi, quasi dobbiamo esprimere il nostro giudizio su quello che vediamo e che compriamo. Il nostro è un giudizio in grado di influenzare il comportamento di altri che condividono la stessa rete e il word-of-mouth è diventato il canale di comunicazione preferenziale.
Gamification, senso della sfida, tempi limitati e esclusività: si tratta di leve potenti su cui si può fare forza per lanciare un’attività di couponing o di flash sale che miri, sì, a portare i clienti all’acquisto, ma anche a divertirli e a farli sentire speciali.