Scopri perché @Mcdonalds ci ha trollato (e ci siamo cascati tutti)

Le barrette di cioccolato rumene dallo stile americano

Se siete stati studenti miei, o di Alessandro, sicuramente vi avremo fatto vedere il video “The American Rom” del produttore di cioccolato rumeno ROM.

Forse la migliore – o più interessante – campagna digital che io riesca a ricordare. Oggi inizia ad avere la sua età, parliamo di una campagna del 2011, ma i concetti alla base restano comunque attuali e fortissimi.

Rom Chocolate è la barretta al cioccolato più venduta in Romania. Durante la campagna “The American Rom” il packaging del prodotto è stato modificato: tolta la bandiera rumena e applicata la bandiera americana. Così spot TV, radio e banner hanno iniziato a promuovere il gusto rumeno con lo stile americano.

In una Romania del 2010 contraddistinta da crisi economica, disoccupazione giovanile, forte dissenso contro lo stato e voglia di scappare in altri paesi, Rom Chocolate ha causato il polverone: ha smosso gli animi nazionali.

La campagna aveva colpito al cuore delle persone, anche di quelle stanche, stufe e schifate del proprio stato. Nessuno poteva davvero permettere che la barretta simbolo del paese diventasse americana.

Questo ha causato: grande dissenso, manifestazioni, troll su internet etc.. etc..

Fino al momento della scoperta del trucco di comunicazione e il forte abbraccio dell’azienda verso un paese economicamente a pezzi.

L’azione ha regalato:share, passaggi tv, interviste e aumento delle vendite. Rom chocolate oggi è simbolo di unità nazionale.

Gli hamburger americani dal gusto italiano

Ecco noi oggi siamo la Romania e McDonald’s è il nostro Rom Chocolate.

In questo post ho già parlato di quanto sia forte l’emigrazione in alcune professioni e fasce d’età in Italia. Più che fuga di cervelli oggi è proprio fuga e basta.

Su i network i livello di critica a questo paese, alla stato, alla politica alla stagnazione economica è folle. Al punto da fare il giro e tornare all’origine.

Mi spiego meglio: tempo fa per essere “antagonista” dovevi essere uno contro, anti, non andare da McDonald’s, lamentarti di qualsiasi cosa questo paese ti potesse offrire, ascoltare musica undergound  (il rap o il punk) ed essere esterofilo.

Oggi il paradigma è cambiato, quelli che un tempo erano “antagonisti” oggi sono di moda/mainstream e si chiamano Hipster. Oggi per essere davvero controcorrente – probabilmente – conviene essere pro-qualcosa: pro-McDonald’s, pro-Italia, pro-rapper mainstream e tentare di restare nel paese in cui sei nato. Questo è essere davvero un anti-anti, no? 

Ecco tutto questo lo Stato, la politica, faticano a capirlo, McDonald’s no.

Dopo aver inanellato una serie di vittorie di comunicazione come La colazione in pigiama (a sola una settimana dallo “scandalo” della sponsorizzazione a EXPO MILANO 2015) e Single Burger, ieri l’azienda mette online questa pubblicità (rimossa solo poche ore dopo).

Il resto lo sapete: l’Italia è andata in corto circuito. Un bambino in una pubblcità della cattiva multinazionale americana ha detto che preferisce un happy meal a una pizza? Ed è subito scandalo, rivolta, video, status update etc etc…

Proprio come un una commedia del reale, proprio come Rom.

Il succo è questo

Personalmente non mi hanno colpito i video di politici, i commenti degli chef della trattoria all’angolo, i blog post dei food-blogger al tofu, gli annunci tv, la parola SCANDALO scritta in capslock e tutte le analisi di #EPICFAIL dei socialguru. Tutto questo immagino fosse progettato e calcolato.

Quello che mi ha colpito è leggere commenti (chi pro, chi contro) di tutti quei miei amici che oggi sono in altre peasi, in fuga da questo posto malato. Siamo tutti caduti nel trabocchetto comunicativo dell’azienda con il logo con “le due collinette d’oro” (-cit, vedi sotto). Io per primo, con questo post.

In un clima di totale ribrezzo verso noi stessi, la comunicazione di McDonald’s, ad oggi, è l’unica che è riuscita a colpire al cuore di tutti. L’ha fatto passando per la nostra bandiera nazionale: la pizza.

Bravi e tanta invidia per aver fatto una campagna del genere!

p.s. Finalmente è arrivata l’era del Troll-Marketing, e io sono qui ad accoglierla a braccia aperte 🙂

Se Facebook è il Matrix, Tsū è Morpheus?

Disclaimer

Questo blog solitamente non parla delle mode tecnologiche del momento, dell’hype da startup o della fuffa del glorioso paese dell’internet, oggi però, farò un’eccezione. Oggi vi parlo di Tsū: un social network che conosco da ben 7 ore. Un social network che dice di pagare ogni utente per i contenuti pubblicati.

Per spiegarvi Tsū devo spiegarvi Facebook, per chi ha già scrollato il post è l’ha considerato TLTR  vi metto il nocciolo della questione in bold in fondo al post! ok?

Il Matrix (Facebook)

Qualche tempo fa dicevo che Facebook sarebbe morto o che sarebbe diventato la televisione. Beh a quanto pare ha vinto la seconda ipotesi.

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Facebook è quel mostro blu che ci ha catturati tutti. Ogni giorno 1,4 miliardi di persone (Feb 2015) vivono la propria giornata attraverso uno schermo. Leggiamo il mondo, la realtà, attraverso i risultati dell’algoritmo di una piattaforma pubblicitaria (mi ricorda un po’ la televisione commerciale italiana anni 80/90′).

Tutto questo a mio avviso crea delle distorsioni assurde nella percezione delle notizie, delle informazioni e dei dati che regolano il nostro universo.  La mia bacheca è un susseguirsi di: gattini, stragi, morti-ammazzati, tette, odio razziale, lego, promozioni, EXPO, tattoo, sconti, post che indagano l’importanza della serp di Google, “fai like per il si, commenta per il no”, il “ROI dei social media” e singoli di Fabri Fibra.

Fra i vari problemi, per esempio, non riesco più a capire la differenza tra un politico – che so, per dirne uno, Salvini – e un troll – che so, per dirne uno, Dan Bilzerian – non aiuta a far chiarezza nemmeno sapere che uno dei due è stato sospeso da Facebook.

In mezzo a tutto questo delirio ho la sensazione di perdermi alcuni contenuti di valore perchè non sono stati condivisi da una grossa massa di utenti o perchè non sono stati messi sotto advertising da qualcuno.

Oltre a essere telespettatori siamo anche autori.

Come autori televisivi anni 80/90′ abbiamo capito che quello che funziona bene su questo network è il trash oppure il bombardamento pubblicitario. In altre parole oggi: se sei un’azienda, se sei il compagno di classe introverso oppure semplicemente una persona riservata, mettiti il cuore in pace, nessuno leggerà mai i tuoi contenuti.

Anche nel caso più fortunato in cui il tuo contenuto sia: bello, di valore, condiviso e apprezzato da tutti, tu, comunque, non percepirai alcun guadagno.

In sostanza possiamo solo dare: i nostri dati, le nostre preferenze, le nostre reti, i nostri contenuti migliori. Queste è ciò che tiene in vita la grossa “matrice di numeri” che ci alimenta e che alimentiamo.

Morpheus raccontava il Matrix a Neo così:

« Matrix è ovunque. È intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L’avverti quando vai a lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità. »

Tsū (Morpheus)

Tsū potrebbe essere il nostro Morpheus? Settimana prossima ne parleremo ancora? Non ne ho idea.

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Questa startup newyorkese, di 20 mesi di vita e 7 milioni di finanziamento già incassati, propone un nuovo modello sul mercato dei social: pagare gli utenti per i contenuti pubblicati. Più i tuoi contenuti sono buoni, commentati, “likati” e condivisi più accumuli soldi sul tuo account. Ogni profilo ha due sezioni per tracciare l’andamento della tua presenza online: Bank e Analytics.

Bank
Bank
Analytics
Analytics

Inoltre la piattaforma implementa già tutte le classiche dinamiche di Facebook e Twitter, gestendo così: Follower e amici, like e share, commenti e media diversi. Le regole su i contenuti, secondo questo utente, sono abbastanza rigide:

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Per finire, alcune pagine implementano il tasto “Transfer Funds”: un’ottima idea per trasferire fondi come donazione (oppure in futuro per poter comprare/pagare oggetti e servizi a singole aziende o tra privati).

Schermata 2015-04-13 alle 23.53.45Qui, in un’intervista a FOX Business, il founder Sebastian Sobczak parla un po’ di questa feature, dell’idea principale dietro alla sua startup e ipotizza qualche ritorno economico per gli utenti.

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Con altissima probabilità Tsū è fuffa ma trovo interessante l’utopia proposta da Sebastian. A dire il vero non sono nemmeno certo che questa sia la strada per il “bene” ma sicuramente è una strada nuova, che potrebbe:

  • Ricompensare chi produce contenuti di valore
  • Migliorare la qualità dei contenuti dell’intera piattaforma (o dimostrare che all’umanità interessano solo i gattini e morti-ammazzati)
  • Dare un senso a tutte le vanity metrics come: like, share, numero di follower
  • Dare pari visibilità a grandi aziende (con tanti capitali da spendere in advertising) e piccole aziende che potrebbero sperimentare idee e contenuti nuovi e assurdi per farsi trovare
  • Permettere all’intera rete di fare del bene, devolvendo i ricavati di tutto l’overload informativo che tutti i giorni produciamo
  • Dare una risposta sana alla domanda “Quanto vale il ROI dei social media?”
  • Permettermi di comprare il nuovo disco di Marracash pagandolo con noiosi post di marketing

La bad news sono che, al momento, Tsū viene utilizzato dagli utenti a mo’ di struttura piramidale (si può guadagnare anche invitando altre persone), ha contenuti simili al compro-oro-diventa-ricco-con-internet-in-5-facili-mosse, è buggato e le applicazioni mobile sono davvero bruttarelle.

Se vuoi provarlo l’invito è qui, attraverso il mio account. Ricorda anche la proposta di Morpheus:

È la tua ultima occasione, se rinunci non ne avrai altre. Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quant’è profonda la tana del bianconiglio. Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. Niente di più.

Riassunto per chi non ha letto il post perchè TLTR:

Facebook mi fa paura mentre Tsū sembra essere proprio l’idea che Google+ non ha avuto. Google ha preferito aggiungere il cappello da pirata a hangout piuttosto che collegare il magico-tubo di Adsense a tutti i profili del network.

Perchè ci siamo comprati Gummy Industries

You can read this post in english on the Gummy Industries Blog

Da venerdì 12 dicembre 2014, abbiamo assunto il controllo del 100% delle quote di Gummy Industries (fino a pochi giorni fa la maggioranza di Gummy era controllata da un’azienda di Siena).

Per Gummy Industries inizia una nuova fase.

Questo post serve a fare il punto della situazione, a rivelare un po’ di segreti aziendali e a raccontarvi dove vorremmo andare, nel futuro prossimo.

Tre anni di internet

Immaginate di essere nel 2012.

I social sono tremendamente efficienti e la comunicazione online è un campo ancora poco esplorato. Abbiamo deciso di aprire un’agenzia 100% digital: dal marketing al design, fino allo sviluppo web e ai social. Eravamo solo in quattro persone.

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Ci siamo attivati subito: in poco tempo siamo arrivati a gestire i social di Costume National, D.A.T.E., Bomboogie, Punkt con risultati più che interessanti (abbiamo portato D.A.T.E. da 3.000 a 35.000 fan).

Nel 2013 abbiamo tirato fuori i muscoli: abbiamo iniziato a lavorare per giganti come Ernst&Young, Henkel, Safilo e Ducati. Abbiamo completato 35 progetti tra siti, web app e campagne di comunicazione digital.

Il 2014 ci ha visti impegnati su consulenza e formazione, ma il nostro obiettivo principale è stato lo sviluppo di campagne digital. Abbiamo realizzato progetti come il Meme Generator per The Voice of Italy (RAI) e abbiamo fatto consulenza per istituzioni come Expo 2015.

Come siamo arrivati qui?

Prima di tutto, ci piace molto fatturare

Gummy Industries è un’azienda: la prospettiva reddituale è fondamentale per noi. Se non producessimo fatturato, Gummy Industries non esisterebbe.

Ecco alcuni key points:

  • abbiamo chiuso tre anni in attivo
  • non abbiamo mai fatto ricorso alla leva dell’indebitamento bancario
  • fino a ora non abbiamo mai utilizzato bandi o investimenti pubblici
  • di norma, paghiamo tutti i fornitori in modo puntuale
  • a partire da un gruppo di quattro persone, ora siamo in una decina

Questo fa di Gummy un’agenzia indipendente e libera, in buona salute e in crescita.

Vorremmo vivere in un’Italia più digitale

Uno dei nostri obiettivi è far crescere la cultura digitale nel nostro Paese: parlare di internet, diffondere le best practice, condividere con tutti quello che abbiamo imparato.

Per esempio, tutte le nostre lezioni, le presentazioni e le ricerche vengono pubblicate su Slideshare. Gratis. Quando lo raccontiamo a chi lavora nella consulenza veniamo presi per matti.

Da cinque anni organizziamo la conferenza Pane Web & Salame (con la collaborazione di Talent Garden) che nel 2015 sarà alla sua sesta edizione.

Tra le altre cose, abbiamo curato l’evento Almost Handmade (con il coworking Fabbrica dei Mestieri) dedicato al nuovo artigianato e l’edizione bresciana del festival internazionale di cortometraggi La Guarimba.

Siamo attivi in numerose attività di formazione e insegniamo al MADEE dal momento in cui ha aperto (Digital Accademia, Treviso), oltre che al Master Relational Design (ABADIR, Catania) per cui abbiamo organizzato un workshop da due settimane.

Siamo arrivati a insegnare in Cina presso LABA (Politecnico di Shangai, Ningbo) e abbiamo curato diversi progetti di formazione aziendale.

Ci invitano spesso a parlare in università (Università di Brescia, Politecnico di Milano, Bocconi, IED, Accademia Santa Giulia).

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Qui le persone sono importanti

Cerchiamo di essere flessibili su tempi e modalità di lavoro: puoi andare in Cina un mese o lavorare da casa in Puglia, basta che fai quello che devi fare.

D’altra parte, se c’è una cosa che ci piace è viaggiare per il mondo.

Per esempio, durante il primo anno siamo andati tutti insieme ad Amsterdam: abbiamo fissato più di dieci incontri in tre giorni, abbiamo incontrato persone affini a noi e, chiaramente, siamo andati a vedere Van Gogh.

Ogni persona in Gummy è diversa dall’altra: promuoviamo l’eterogeneità e abbiamo un team veramente trasversale. Crediamo che il personal branding di tutti sia un valore per l’azienda.

Nel corso del tempo, abbiamo avuto tra i nostri collaboratori (in ordine sparso): un’archeologa, un sound designer e dj, una portoghese di 18 anni, un chitarrista, un visual artist, un rapper. Ci piacciono le persone che hanno una vita, oltre al lavoro.

Alla fine, avere un team con tantissimi interessi diversi è un punto di forza: questa pioggia di stimoli fa in modo che nascano tanti progetti, sia lavorativi che collaterali.

Visto che siamo tutti diversi, facciamo in modo che ognuno abbia la sua personalità e valorizzi i suoi punti di forza: qui, quasi tutti insegnano (e sono liberi di farlo) in università. Dove possibile appoggiamo i progetti dei singoli professionisti.

Solo per fare un esempio, Svegliamuseo (la più grande community italiana di professionisti della comunicazione museale) è nato qui, come side project di Francesca.

Teniamo molto alle persone che lavorano con noi e stiamo ragionando su un modello di compensation che possa coinvolgere il più possibile tutti i nostri collaboratori (per esempio, ci piace molto il modello Open Equity di Buffer).

Cosa ci riserva il futuro?

Ci siamo accorti che i social network sono diventati totalmente inutili, in moltissimi casi.

Stiamo cercando di dare un senso a questi strumenti.

Nel campo del retail possiamo utilizzare strumenti agili e immediati come Instagram e WhatsApp per aumentare il traffico e le vendite in store, in modo misurabile. Con alcuni dei nostri clienti stiamo lavorando in questa direzione.

Stiamo progettando di espanderci verso oriente, pensiamo a un business internazionale con base in Italia. Abbiamo contatti con la Thailandia e con il Sud Korea. La media azienda italiana, specie se food o fashion, è molto richiesta a oriente. Inoltre, a nostro avviso molti prodotti orientali avrebbero successo in Europa. Stiamo costruendo una rete di relazioni che ci permetta di seguire questo tipo di progetti.

Vorremmo essere un punto di riferimento per tutti i giovani del settore e per tutti quelli che hanno idee da condividere e le vogliono portare avanti.

Se anche tu credi che un nuovo tipo di azienda sia possibile anche in questo paese e se ti piace conoscere il mondo, mandaci una mail. Lo stiamo facendo.

Alessandro e Fabrizio

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Ecco perché una vacanza in California è meglio di 10 libri di marketing

Durante queste vacanze sono stato in California e mi è sembrato di passeggiare all’interno di un manuale di marketing.  In un paese dove tutto è marketing, tutto è comunicazione, un viaggio diventa un ripasso dei principali capitoli.

Ho preso qualche appunto, cose semplici – scontate forse –  ma che se messe in pratica anche dalle aziende nostrane, farebbero saltare l’economia del bel paese nell’iperspazio.

Detto questo torniamo tra i banchi e impariamo a comunicare dagli americani (o almeno a capire cosa funziona da loro).

 1. Posizionamento, Valori e Auto-affermazione

In America non hanno paura di affermare i propri valori, le proprie origini o le proprie qualità. Tutti i prodotti (o servizi) sono i migliori rispetto a tutti gli altri. In altre parole non hanno paura a vantarsi. Questa scelta è espressa in copywriting molto forti:
  • L’università dice –“Vieni per una laurea, resti qui per il tuo sogno”
  • Il negozio di giocattoli – “Meglio sgridare per 5 minuti i tuoi figli ora, siamo a 5 min da qui.”
  • Il the preso nel piccolo cafè – “The verde, ma con vero succo di limone, tutto è organic!”
  • La vodka di San Francisco dice –“Nata in San Francisco dove il progresso è naturale” oppure “Brinda al progresso di San Francisco”
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  • Il ristorante per il brunch, il bbq, la birreria etc.. – “Il miglior BBQ in San Francisco” oppure “Serviamo la migliore colazione di San Francisco” 
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  • La pizzeria dice – “Una pizza come nessun’altra in città, forse anche di Napoli”
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Cosa ho ripassato in questa lezione di marketing: Comunica i tuoi valori in modo forte.

 2. Branding & identity

Il Branding è tutto, ovunque e comunque. Gli americani sanno bene che un marchio non è solo un logo ma è tutta l’esperienza e il ricordo di un’organizzazione.
Dal ristorante dove mangi al piccolo negozio di cioccolatini, tutto ha un’identità perfetta e tutto cerca di entrare con forza nei tuoi ricordi.
  • Il panificio ha font grossi e packaging di carta e di latta rossi,  mentre sei in coda vedi le persone che fanno il pane e preparano il tuo pranzo.
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  • Il micro-birrificio dalle tovaglie di carta ruvida, i mobili in legno, mattoni in vista e dal vecchio vassoio di metallo sul quale ti serve gli hamburger sul manu ha scritto: “The Perfect Pour. Our beer is served at its optimal drinking temperature via several variable storage and delivery systems. Our custom “on the fly” gas blending system is one of only a handful in the world and allows us precise control over every beer. What does this mean to you? Your beer will be served at the proper temperature to ensure all the flavors you’d miss with a standard system are there for you to enjoy from the first sip.” In altre parole: sanno regolare la pressione delle spine.
  • La compagnia area non ti vende un viaggio low-cost, ti vende libertà. “Questo aereo è dedicato a te, nostro leale cliente. Tu sei la ragione per la quale diamo all’America la libertà di volare”. Manca solo Capitan America che stappa un Jack Daniels con i denti e ti strizza l’occhiolino.
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  • Il salumiere italiano (che in realtà italiano non è) è il mio preferito: vende solo insaccati italiani, di quelli insoliti e difficili da trovare. La gente di San Francisco fa la coda per comprare: nduja, ciccioli o finocchiona. Il packging è di carta, il logo hipster e il naming stupendo per chi vuole spendere un sacco di soldi in una nduja prodotta nelle Silicon Valley. Si chiama Boccalone. (#epic hai vinto il mio premio-comunicazione-vacanza)

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Cosa ho ripassato in questa lezione di marketing: Il branding è il ricordo di tutta l’organizzazione. Fallo bello!

3. Segmentare il mercato e ampliare l’offerta

Quando compri qualcosa c’è sempre una scelta da fare, solitamente limitata a tre strade: servizio base, intermedio e plus.
  • L’albergo a Las Vegas offre il check-in normale con un’ora di coda, aperto solo dalle 15 alle 18, l’early check-in a pagamento prima delle 15. Oppure il misterioso diamond check-in nascosto da due grandi porte di vetro e oro.
  • La bibita del parco dei divertimenti costa 5$ ma con soli 15$ puoi averla nella boraccia del tuo personaggio preferito e con 1$ in più hai il free refill tutto il giorno.
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Cosa ho ripassato in questa lezione di marketing: Riduci (o amplia) l’offerta a 3 possibilità, così ti assicuri che almeno l’intermedia venga considerata. (e poi davvero non vorresti succhiare della coca-cola dalla testa di un Minions??!)

4. Retail

I retail sono laboratori artigiani che mettono in mostra tutta l’artigianalità e la storia dietro a un prodotto.
  • Alla cioccolateria puoi mangiare cioccolato, comprare e  vedere cucinare diversi tipo di dolci.
  • Il museo a cielo aperto di barche al porto ti permette di visitare imbarcazioni dei primi del ‘900, te le racconta attraverso app o chiamandoti al cellulare. In più ti fa vedere il lavoro dei restauratori/falegnami alle prese con l’ultimo restauro.
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  • Da Levis puoi comprare un paio di jeans, e farti sistemare l’orlo, nell’angolo sartoriale all’entrata del negozio. Sistemare un orlo e mettere una toppa colorata su un jeans costa il doppio del jeans stesso.
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Cosa ho ripassato in questa lezione di marketing: Il retail oltre a vendere deve raccontare. 

5.  Messaggi Semplici

La comunicazione è semplice e diretta, niente giri di parole.
  • Il ristorante che ti cucina il granchio dice: -“MANGIA IL GRANCHIO”.
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  • Il negozio di oggetti usati dice: – “L’usato è il nuovo nuovo.”
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Cosa ho ripassato in questa lezione di marketing: Comunica in modo semplice e diretto.

6. Coda coda coda

La cultura della coda è impressionante, sbalorditiva. È ovunque. Difficilmente si prenota o si riserva un tavolo, vai sul posto e fai la coda. La gente non sembra essere arrabbiata e nemmeno sembra sforzarsi di dover tollerare supplizi di ore di attesa. Guide e blog online si spingono oltre e considerando la coda sininimo di qualità e storicità di un servizio.
Dalla coda nascono nuovi servizi: puoi saltare la coda e pagare questa possibilità, acquistare cibo oppure bevande durante l’attesa.
In altre parole la coda è il primo segnale di scarsità del bene/servizio e poco importa se le code a volte sono totalmente inutili e non necessarie.
Qui la coda fuori dall’Apple store, di Domenica non di saldi a negozio chiuso.

Cosa ho ripassato in questa lezione di marketing: “Se c’è coda è perché piace anche a altre persone. vado sul sicuro!”

@matteorenzi, ferma la #diasporaitaliana!

Ciao Matteo,

Ti scrivo per farti una domanda e darti qualche idea. Mi chiamo Fabrizio e ho fatto impresa in Italia, lavoro in un settore fortunato: quello dell’internet e affini.

Qui di lavoro ce n’è e i progetti arrivano. Ciò che mi preoccupa è che sto vivendo un paradosso: per alcune professioni, necessarie alla mia impresa, c’è più domanda di lavoro che offerta. Questo accade perché alcuni di questi lavoratori, molto specializzati, scelgono di andare all’esterno attirati da offerte e modelli di vita a loro parere migliori.

Per esempio mezzo milione di italiani hanno scelto l’Inghilterra, almeno secondo questa infografica e questa discussione di Reddit. I dati dovrebbero venire dal consolato italiano in Inghilterra, gli internauti la chiamano la diaspora italiana.  (nota:  forse le mie fonti non sono tanto autorevoli, non riesco a risalire alla fonte esatta: ho trovato solo un altro articolo di giornale sul tema cercando “diaspora italiana“. Probabilmente il tema interessa poco la stampa?!)

Non so dirti se questo mezzo milione di persone possiede un profilo utile alla mia attività, per esempio coder,  front end developer, ux designer etc.. vedo però che quasi il 75% di questi ha un’istruzione come minimo universitaria.

Il mio problema quindi è: come competere internazionalmente con le offerte di lavoro che arrivano dall’estero? Per quanto possa sforzarmi, dopo aver speso circa il 60% della liquidità di un anno di impresa in: IVA, contributi, ritenute, IRAP, INAIL, TASI, etc.. mi è davvero impossibile proporre contratti simili a quelli di altri paesi europei o extra-europei.

So che ti sta molto a cuore la questione “startup tecnologiche” per questo oltre a bandi, incubatori, servizi di consulenza e spazio di lavoro condivisi, ti propongo alcune idee che ho visto in giro per il mondo e che mi aiuterebbero in modo più concreto:

  • Irlanda e Inghilterra permettono alle aziende e ai lavoratori di scegliere (per un periodo concordato) se versare i contributi pensionistici oppure riceverli, subito, direttamente in busta paga. Mi sono accorto che molti di quelli che se ne vanno preferiscono l’uovo oggi piuttosto che la gallina domani, perché non concederla loro?  (siam sicuri della nostra Gallina domani?)
  • In Malesia le aziende ICT iscritte al programma MSC sono esenti dalle tasse per i primi 5 anni.
  • In Korea del sud gli studenti migliori vengono formati, mandati in occidente per qualche anno, per poi far ritorno nelle aziende del paese. Questo secondo alcuni accordi tra il governo e alcune delle maggiori aziende sudcoreane.
  • In Canada se assumi a tempo indeterminato o rinnovi contratti annuali, vieni rimborsato del 50-70% dello stipendio per le prime 7-24 settimane. 
  • In Australia se assumi in 50enne ricevi dei sussidi

Credo che alcune di queste riforme possano aiutare anche a cambiare il percepito del brand Italia per quanto riguarda la questione lavoro.

In fine, dato che sei stato a Brescia (la mia città) pochi giorni fa, ti invito a leggere con i tuoi occhi qual è la situazione del mercato percepita da quella che hai detto essere “Italia leader se fosse come Brescia”. In questo post, sul social network blu, ho chiesto a un gruppo di 830+ (Bresciani e non) professionisti di settore, cosa consiglierebbero a un 17enne: stare o andarsene dal paese? Ecco le risposte.

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Aspetto tue “ASAP” 🙂

Ciao, Fabrizio aka @Betone

p.s. per tutti gli altri se conoscete altre belle idee ditemele tra i commenti, le aggiungerò al post!